sabato 11 febbraio 2017

Tra lo squalo Berlusconi e il novecento sovietico, scegliamo Renzi, la buona amministrazione e il cambiamento.

Il rapporto della fondazione Di Vittorio piegato alle ragioni della politica cela la vera natura della crisi e cioè il ruolo devastante della lotta di potere mascherata da vertenza sociale e condotta sulla pelle del Paese. 



Dal rapporto della Fondazione Di Vittorio e Tecnè divulgato oggi dai media e secondo i dati ISTAT emerge come risolutiva una legge elettorale maggioritaria capace di mettere fuori corso forze come le attuali scissioniste interne al PD che hanno minato Renzi e il Paese. Ci vuole un mattarellum senza quota proporzionale. E tutte le forze francamente socialiste e liberali dovrebbero capire quanto sarebbe fondamentale per poter bonificare la vita politica.

I dati dimostrano infatti quanto la lotta interna contro Renzi abbia minato insieme a Renzi lo slancio del Paese. In particolare evidenziano la correlazione tra calo della fiducia e agitazione del malcontento a opera di sindacati, associazioni collaterali, grandi giornali fiancheggiatori.

Se nel novembre 2014 eravamo ai massimi della fiducia e ai minimi dello spread, con l’arrivo in porto dell’Italicum a Gennaio 2015 comincia sui media e presso gli insegnanti il tam tam sulla Buona Scuola. E si giunge così a Maggio 2015 con il varo dell’Italicum e l’esplodere della protesta degli insegnanti: un minimo della fiducia che segna il consolidarsi di un’inversione di tendenza.

Si pone dunque alle forze socialiste e liberali l’imperativo di estirpare alla radice il potere del manipolo di nostalgici asserragliati in Parlamento, pronti a far pagare all’intero paese la loro lotta settaria. Uomini religiosamente devoti al principio del trofismo di partito, identificato in modo apodittico con il bene comune. A dire "o si governa con noi o non si governa". "O tenete conto del nostro potere di veto o non andate da nessuna parte". Il tutto senza ricaduta alcuna positiva sulla vita degli strati deboli della società.



Per costoro ribadire la centralità corporativa della triade grandi giornali assistiti, sindacato, personale politico ex PCI rende il “bene comune” un dato indifferente, sovrastrutturale “diciamo”.

Il  successo del piano di autotutela della “ditta” bersaniana si traduce nel mutare gli umori del Paese nei confronti di Renzi e per ciò stesso far fallire forse l’ultima possibilità di riformarci, cambiare, diventare una democrazia competitiva. 

Dopo venti anni di battaglie antiberlusconiane ci si trova così a dover dar atto all’ontologicamente antidemocratico Berlusconi di quanto il suo sviluppo promesso al Paese abbia dovuto scontare questo sordo cupio dissolvi, del “dopo di me il diluvio” di quella classe politica.

Ed è quanto dobbiamo aspettarci ora. Tanto più Renzi dovesse riuscire nel suo piano, ottenere una scissione a sinistra e marginalizzarla dal quadro politico, tanto più feroce sarà il disfattismo cupo, il malcontento organizzato dalla componente più retriva di CGIL e giornali collaterali,  non a servizio dei lavoratori ma dei reperti del novecento asserragliati in Parlamento a baluardo degli stili più che dell’idea collettivista.

Le riforme renziane in fatto di Costituzione e legge elettorale avrebbero spurgato pietosamente il  bubbone. Poi sappiamo come è andata ma non tutto è perduto, se le forze di ispirazione socialista e liberale capiscono che una legge elettorale francamente maggioritaria risolverebbe il problema alla radice. Forse non immediatamente, ma nel giro di una legislatura e mezza il problema sarebbe scongiurato: quando divenisse chiaro che in assenza di potere parlamentare, il collaterlalismo non potrebbe attendersi più nulla dai suoi numi tutelari.

Monica Montanari






Fonti

Rapporto Fondazione Di Vittorio e Tecnè su Il Fatto Quotidiano

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