giovedì 16 febbraio 2017

Aiuti alla Siria: il cuore britannico è una grande perdita per l'Europa

Regno Unito, modelli di solidarietà di vicinato di un Paese che ancora ci crede, lontanissimi dai nostri. Tutti si mobilitano per la Siria. Quando la perfida Albione non è affatto perfida e i nostri che ci sono andati ad abitare ci stanno benissimo.
Immagine postata da Gennaro Migliore in un suo tweet di ieri: “aprire gli occhi e il cuore su ciò che davvero conta”



La faccenda non è iniziata in modo poetico, a meno che non consideriate poetico smadonnare davanti al TG della sera.

Mia madre mi avrebbe guardata malissimo.

O forse no. Forse pure lei avrebbe sbroccato davanti al faccino vacuo di un bambino appena estratto dalle rovine di casa sua in Siria. Perché su questo siamo d'accordo, no?

Il fatto che un bambino sporco di sangue e polvere non pianga neanche è così sbagliato che mancano le parole per dirlo.

Comunque, pure alla mia vicina di casa Susannah deve essersi rivoltato lo stomaco, visto che due giorni dopo mette a disposizione il suo pub, il George, per raccogliere donazioni. Sì, pub.



Ah giusto, non ve l'ho detto. Le imprecazioni di cui sopra sono partite da Alton, cittadina tipo Paperopoli a un'ora da Londra, dove e io e mio marito ci siamo trasferiti tre anni fa.

Eh sì, apparteniamo al gruppo umano degli scappati dai contratti a tempo determinato e agli stage non retribuiti, ma questa è un'altra storia.

Torniamo al George. Cominciano ad arrivare le donazioni. Piano piano, prima una busta, poi due, la voce intanto si sparge e gli stomaci rivoltati nel circondario devono essere parecchi perché a un certo punto affluisce tanta di quella roba che Susannah chiede aiuto via Facebook.
Susannah Stredder
 E a quel punto che fai? Esatto, ti muovi. Però tu e il marito coemigrante non siete mica i soli.

Almeno un paio di volte la settimana ti ritrovi con un pugno di inglesi a separare copertine per neonati da giacconi impermeabili per adulti, medicine e bagnoschiuma, e i cappelli dove vanno?

E la biancheria intima? Ci diamo pure un nome che speriamo suoni figo, Alton Aid.

Ma come in ogni storia che si rispetti ora spunta il fetente, anzi, i due fetenti che una notte forzano la porta del George e rubano la scatola con le donazioni per pagare il container.

La botta è brutta ma ci si riorganizza. Si va avanti. Il delirio organizzato produce in un mese e mezzo più di trecento scatoloni di aiuti.

Finalmente l'organizzazione a cui ci appoggiamo per inviare il materiale manda il primo container. All'appello risponde una trentina di impavidi. E sì, quella sera ho fatto il facchino. Le mie amiche in Italia stanno ancora ridendo.

Va bene, ma il resto del materiale? Ecco, qua iniziano i problemi.
L'organizzazione sgancia la bomba: il resto andrà in Africa.

Bello, bravi. E la caterva di maglioni pesanti la useranno come arredo urbano? E a chi ha aperto il portafogli per la Siria che raccontiamo? Scusa, cambio programma?





Segue arrabbiatura cosmica e riunione d'emergenza davanti alle birre del George. Il verdetto della votazione è: Arrivederci a salutami a soreta. Va bene, questo l'ho tradotto io liberamente ma il senso è chiaro.
I cittadini di Alton riempiono il camion degli aiuti
Chiusa l'avventura? Nope! Neanche una settimana e l'inarrestabile Susannah trova una nuova organizzazione che promette di spedire tutto il resto in Siria.

Almeno per quando riprenderemo a inscatolare pantaloni e dentifrici mi sarà passato il mal di schiena.



Giusy De Nicolo





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