L’intervista rilasciata da Matteo Renzi e quella parallela di Dario Franceschini sul Corriere della Sera ci dicono che al momento prevale l’idea di consolidare l’esistente e fare di necessità virtù: un’Italia del proporzionale e delle coalizioni, degli assalti alla diligenza organizzata, un’Italia delle sovvenzioni statali, delle tasse in crescita, un’Italia malata dove il buon senso cessa di avere corso.
Sarebbero parole dettate dall’amarezza se non fossero una descrizione esatta della realtà repubblicana ma la speranza ha ancora qualche appiglio: che sia un modo per prefigurare a Grillo un assetto nel quale non avrebbe prospettive di competere e dunque indurlo a più miti consigli sul tema dei capilista bloccati in vista della possibilità di votare una nuova legge elettorale ai primi di marzo.
Diversamente sarebbe un cedimento su tutta la linea: primarie, congresso e data delle elezioni, con il quale Franceschini e Renzi nascondono nel velluto un artiglio d’acciaio: l’indisponibilità a cedere sui capilista bloccati, appunto.
A rendere credibile agli avversari l'offerta di pace di Renzi e Franceschini è la plausibilità stessa di un ragionamento realista che potrebbero effettivamente aver fatto, ma chissà.
Sarebbe realista in effetti concludere che di riforme serie non si parlerà per altri trent’anni, che si vada verso un proporzionale con le coalizioni e che, se coalizioni dobbiam fare, tanto vale tenersi i traditori nel partito invece di contrattare con una forza costituita esternamente. Con in più i vantaggi di figurare, con questa strategia, come i difensori dell’unità del partito.
In tutto questo però ci sono 13 milioni di persone che in un’Italia che NON funziona non si sentono a casa, come gli inglesi che non vogliono Brexit, come gli americani di New York e della California inorriditi di essere ormai reggicoda di Putin e di consentire a quest’ultimo di attaccare nuovamente il Donec in Ukraina. Così immaginiamo, stranieri in patria, tanti ungheresi e tanti turchi vivere il proprio stesso paese come un abominio.
Ed ecco il punto, se davvero si richiudesse con un nulla di fatto la stagione delle riforme strutturali in Italia, i baluba metterebbero sotto assedio la parte avanzata del Paese quella che alza lo sguardo dal piatto e non si stanca di cercare di capire e di leggere la realtà collettiva.
Questa parte d’Italia stimata in 13 milioni resterebbe senza una rappresentanza.
Nel momento del grande ritorno alla rappresentatività come chiave della governance, il 40 % dell’elettorato verrebbe messo all’angolo, costretto a subire senza alternative lo spettacolo della democrazia finta dalle tante opzioni sul tavolo tranne quella di diventare un paese moderno.
Che i mercati internazionali presenteranno il conto a un’Italia arretrata lo sanno benissimo anche coloro che si battono perché l’Italia rimanga consociativa e sparatoria con un retro pensiero: che nell’Europa del 2017 prevalgano i populismi, che l’Europa si sfasci e che Trump smantelli la globalizzazione.
In pratica i fautori dell’Italia del “no” si augurano il peggio perché in quel peggio manteranno la propria rendita di posizione.
A tutti costoro, una facile profezia: il populismo spazzerà via anche loro.
Fonti
Massimo Franco, Intervista a Renzi, Corriere della Sera, 2 febbraio 2017
Francesco Verderami, Intervista a Franceschini, Corriere della sera, 2 febbraio 2017
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